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Calvino DeGiorgi ama raccontare storie. Non racconti fantastici, bensì tutto quanto ha vissuto in prima persona negli anni, e il nipote Tommaso ne viene sempre rapito.
Ora che il ragazzo è maturo, DeGiorgi lo trasporta in un’esperienza di vita del 1981. Il teatro del racconto è un Iran post Rivoluzione, scampato all’ira degli americani per la crisi degli ostaggi, sofferente per l’embargo internazionale e morso dai danni della guerra con l’Iraq. All’interno di questo scenario drastico e cupo, DeGiorgi e alcuni suoi colleghi, con i rappresentanti di Saipem in Iran, si dovranno muovere per chiudere un contratto con il nuovo Governo degli Ayatollah.
Sono i rappresentanti di un’importante banca italiana e si trovano nella vecchia Persia per conto del Gruppo ENI, con alle spalle l’occhio attento del Governo italiano, smaniosi per la buona riuscita della proposta sul tavolo: l’acquisto di petrolio dal mercato nero, in forma di baratto, per far fronte ai pagamenti di un’opera titanica per la quale Saipem rischia di non recuperare più nulla.
I presupposti non sono dei migliori. Potrebbero morire sotto il fuoco incrociato della terribile guerra alle porte di Teheran, oppure tornare e rischiare il tribunale per via di un accordo ai limiti del legale.
L’avventura è quasi onirica e trasporta il nipote indietro nel tempo, nella vivida realtà di quei giorni fino a trovarsi davanti un tesoro unico e di un valore incalcolabile.
La cortesia che le voglio chiedere, signor DeGiorgi, è di tornare in Italia e far sapere al mondo che l’Iran è un Paese ricco. Non ricco solo di storia e di fonti energetiche, ma anche e soprattutto ricco di denaro. Ricco di pietre preziose e quant’altro potrà servirci in futuro per fare in modo che questo Paese possa ritornare ad avere il posto nel mondo che gli spetta, come lo sono stati gli imperi succedutisi negli anni in questa parte della terra.
ISBN | 9788832195866 |
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Anno di Pubblicazione | Maggio 2024 |
Genere | Narrativa |
Pagine | 263 pagine |
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Gianstefano Foresti (Sarnico, 1976) è un accanito lettore di fumetti e libri di ogni tipo. Oltre ai suoi tanti hobby, dal 2020 ha deciso di dedicarsi alla scrittura.
“Il primo uccisore” è il suo romanzo d’esordio.
“Il tesoro del pavone” è il suo secondo romanzo e prende una pausa dal filone thriller-fantascientifico con il quale ha iniziato la sua attività di autore.
Proprio per via della molteplicità dei suoi interessi, ha raccolto una nuova sfida e si è immerso nella scrittura di un romanzo storico, ricostruendo un fatto realmente accaduto nell’Iran dei primi anni Ottanta.
La tranquillità di un piccolo paese della provincia bresciana viene stravolta da un omicidio inquietante e morboso, l’ultimo di una serie.
Ed è quando l’Interpol si presenta alla porta del distretto di Polizia per reclamare informazioni su quel delitto, che l’ispettore capo Filippo Santacroce viene catapultato in una storia via via più tortuosa.
Si tratta davvero di un killer seriale? L’unica certezza è che l’autore delle macabre opere comunica attraverso rompicapi e tatuaggi. Che anche lui si stia nascondendo da qualcuno? E soprattutto, perché vuole proteggere gli investigatori?
Santacroce si troverà quindi proiettato in una storia al di là del tempo e dell’immaginario, il frutto di una programmazione ben precisa iniziata molto tempo prima. Le indagini apriranno squarci su una realtà terribile, una verità paradossale e inverosimile in cui la morte di povere donne è solo il mezzo per arrivare a qualcosa di molto più complesso.
Per risolvere il caso, Santacroce non solo dovrà fare i conti con l’orrore, ma si troverà costretto a indagare su se stesso, sul suo passato e sulle insicurezze che lo attanagliano. E se questo fosse solo l’inizio?
Quando muore, Ciccitta Lampis lascia la nipote Lia e le figlie Ruth, Ester e Noemi in condizioni economiche difficili. Dopo una lunga riflessione, l’unica soluzione possibile sembra la vendita del numero venti, un edificio lungo la via principale del paese, di proprietà della famiglia da generazioni. Ma l’arrivo di Giorgio Albert da Parigi stravolgerà ogni piano: prima del decesso, Ciccitta ha firmato con lui un contratto di locazione perché possa aprirvi una libreria. La follia del progetto oltraggia tutto il paese: leggono in troppo pochi a Santa Gisa perché possa avere successo.
Sullo sfondo di un piccolo centro del sud ovest sardo, il numero venti si farà crocevia di romanzi e di tradizioni perdute che non solo ricorderanno alle Lampis quanto della loro storia abbiano messo da parte, ma faranno soffiare impetuoso il vento del cambiamento su una comunità che ha dimenticato sé stessa.
A centocinquanta anni dalla nascita di Grazia Deledda, Mezzo giro di velluto omaggia le atmosfere e i personaggi di Canne al vento, raccontando con un tocco di realismo magico il velo sottile che separa la vita e la morte.
La libreria è piccola, di paese. Ha gli scaffali ricoperti di carta crespa colorata e una sola vetrina, dalla quale entra imperiosa la luce del giorno. Dentro, una scrittrice – Lei – presenta il suo libro, il raggiungimento di un sogno. A guardarla, Emil. Coppola in testa e posa strafottente… o forse no. Perché le parole di Lei gli cadono addosso, dentro. E non può evitare di consegnarle di nascosto le sue, di parole, anche se solo su un biglietto scritto a matita e infilato di nascosto nel libro che la scrittrice porta sempre con sé. Poi, aspetta di vederla uscire e allontanarsi prima di andare a casa e attenderne l’arrivo. Quando entra però non è solo, perché altri sono già arrivati prima di lui. Li conosce bene, ognuno ha un nome e un peso in questa serata calda che sa di teatro. Tati e le sue scarpe col tacco, seduta sulla poltrona di velluto verde che chiede del vino, Nané che pettina una bambolina, Donna Melina e il suo foulard di seta floreale che le nasconde gli anni e la storia. E il Signor Tim, che fuma.
Ma Lei dov’é? Sa che la stanno aspettando? Tra una sigaretta, una Rossana e dell’Amarone servito in un calice, cinque persone attendono la voce di colei che decreterà il loro futuro, chi tra loro potrà restare quella notte e quella dopo ancora.
La verità è che siamo composti da mille strati di noi stessi, stesi e attaccati l’uno all’altro, che mischiano odori, umori, sapori. Siamo il frutto di ciò che ascoltiamo, guardiamo e impariamo dal primo istante di vita, e tutto resta a farne parte, per dare il senso di ciò che mostriamo di essere al mondo.
Anno 2246. La Terra si trova sull’orlo del baratro climatico e demografico e l’arrivo di spietati e sanguinari invasori extraterrestri, i Badb, sembra essere il colpo finale per il pianeta. Contro ogni aspettativa, questo attacco proveniente dal profondo dell’Universo rinsalda lo spirito dei terrestri che, facendo fronte comune, riescono a resistere e ribattere colpo su colpo.
Dopo ulteriori quattro secoli di guerra e oltre sette miliardi di morti, uno sconosciuto impiegato del Dipartimento della Guerra tenta di ribellarsi a quel conflitto lontano e pulito, insinuatosi ormai nel tessuto sociale fino a diventarne parte. Troverà le risposte che cercava, ma saranno peggiori del suo più terribile incubo.
Boston, Massachusetts. Due preti sono stati uccisi in modo efferato, disumano. La prima vittima ha la schiena scuoiata, mentre la seconda è senza testa, tranciata di netto. Sulle scene del crimine, la Scientifica ha rinvenuto la firma dell’assassino: A.B. A.G. Gli Indiavolati. In calce, una croce capovolta. La Omicidi sospetta un movente satanico, un rituale di magia nera che ha portato alla morte i due religiosi. Ma quelle lettere e quelle parole fanno scattare qualcosa nella mente del capitano David Carlson. Gli Indiavolati non è il nome di una setta satanica, bensì di una band…
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